18 settembre 2018, scritto da Tiziana Lo Monaco
categoria: Note metodologiche
La terapia della reminescenza o Life Review Therapy per l'anziano con demenza
Avete mai provato a chiedere a un anziano con demenza di raccontarvi la storia della sua vita, magari un episodio importante della sua infanzia, del suo rapporto con i genitori, della sua prima storia d’amore? O magari a un ex agricoltore, affetto sempre da demenza, di narrarvi della semina e della raccolta facendogli toccare le spighe di grano appena raccolte?O ancora, a un’anziana con demenza, che un tempo era massaia, di raccontarvi come faceva la salsa facendogliene sentire il profumo? Oppure, avete mai provato a mostrare a persone affette da demenza la foto del loro matrimonio?
Nella migliore delle ipotesi, la loro prima risposta sarà che sono dispiaciuti, ma non ricordano nulla perché è passato troppo tempo; diranno di non aver mai fatto gli agricoltori, che la salsa la compravano, che non riconoscono gli sposi nella foto. Contestualmente però l’espressione del loro viso inizierà a cambiare, a rilassarsi, i loro occhi cupi e dispersi nello spazio inizieranno a brillare. Forse anche un sorriso apparirà sui loro volti, sistemeranno la loro postura sulla sedia, come si fa prima di raccontare non una storia qualunque, ma una importante. Ritorneranno a toccare le spighe, a cercare quel profumo appena rinnegato e a riconoscersi nel giorno del loro matrimonio, tutto intorno a loro avrà una luce diversa, e nell’arco di due o tre minuti dalla vostra domanda cominceranno il racconto della loro storia di vita, come se aspettassero da tempo questa domanda. E il loro narrare sarà un fiume in piena che accenna a straripare ma che rientra sempre e scorre senza mai arrestarsi.
Per il paziente con demenza, dunque, l’atto di recuperare i ricordi del passato diventa fonte di benessere a livello psicofisico.
Rappresenta l’isola felice in cui proteggersi per sfuggire al senso d’inadeguatezza, alla perdita di sé, alle difficoltà nelle attività quotidiane, all’incapacità di riuscire a interagire con gli altri e alla frustrazione di non poter conversare tranquillamente – spesso dovuta alla difficoltà d’immagazzinare nuove informazioni o all’impossibilità di riuscire a rievocare eventi recenti.
L’approccio narrativo nella demenza: la Terapia della reminiscenza
«Tutti abbiamo bisogno di raccontare, ascoltare, vivere, immaginare o inventare storie, che siano storie nostre o degli altri, conosciuti e sconosciuti, che siano già accadute, che stiano per verificarsi o che speriamo possano accadere al più presto, che siano vere o totalmente inventate, che siano a lieto fine o che abbiano un tragico epilogo, sentiamo un bisogno primordiale di “comunicare” storie perché esso rappresenta lo strumento più appropriato che possediamo per cercare di metabolizzare e prendere consapevolezza di tutto quello che ci capita e di cui vogliamo che rimanga sempre una traccia» (Virzì et al, 2017).
Da sempre l’uomo ha sentito il bisogno di raccontare e di raccontarsi, per far sì che il patrimonio personale non andasse perduto ma venisse tramandato nel tempo garantendogli l’immortalità. L’approccio narrativo è utile nella gestione delle demenze perché permette di entrare in relazione con i pazienti attraverso un canale privilegiato, che è appunto quello della narrazione delle loro storie di vita. Quella che ci viene raccontata è la storia come viene
sentita e ancora vissuta da chi racconta, come ancora risuona dentro chi narra, sicuramente molto più reale di quella anagrafica, sicuramente obbiettiva ma meno rappresentativa della vita delle persone.
La Terapia della reminiscenza, o Life Review Therapy, teorizzata dal dottor Robert Butler all’inizio degli anni Sessanta, utilizza proprio l’approccio narrativo. Egli ebbe l’intuizione di sfruttare la naturale tendenza degli anziani a ricordare e a voler condividere esperienze del passato; cominciò a considerarla non più come un segnale negativo, indicativo del declino cognitivo, ma come una risorsa di cui avvalersi per migliorare il benessere psicofisico e il tono dell’umore delle persone con demenza, per limitare l’isolamento, per mantenere e rinforzare
l’autostima e l’identità personale.
Il ricordo diventa quindi lo strumento principe per gettare un ponte tra passato e presente, al fine di poter interpretare e vivere meglio la realtà quotidiana. Ciò è possibile grazie al fatto che la memoria autobiografica subisce una compromissione importante solo in una fase tardiva della malattia: il recupero dei ricordi è pertanto meno difficile di quanto si pensi e permette di superare le frustrazioni che nascono dall’incapacità d’immagazzinare materiale nuovo.
I pazienti, sebbene all’inizio siano titubanti e scettici, vanno incoraggiati a parlare del loro passato, a ricordare e a riportare a galla esperienze vissute in età infantile, giovanile e adulta. Devono essere spronati anche a ricordare eventi spiacevoli – nei confronti dei quali possono esserci ancora nodi irrisolti – a verbalizzare i loro problemi e ad ascoltare quelli degli altri, in modo da favorire un migliore livello di socializzazione.
La Terapia della Reminiscenza non consiste soltanto nel raccontare storie di vita personali: significa riviverle, ricostruirle, condividerle, comparteciparle emozionandosi e viverle in maniera sensoriale, grazie anche all’adozione di feedback visivi (fotografie, quadri e filmati) o di altro tipo (profumi, sapori, musiche, canti, rumori, oggetti da toccare), chiaramente in sintonia con il periodo in cui hanno vissuto i pazienti.
Questa terapia può essere praticata in diverse forme: può essere orale o scritta, di gruppo o individuale, in maniera strutturata o informale, durante gli incontri giornalieri. È importante che venga utilizzato un linguaggio semplice, dicendo una cosa per volta, in modo da assicurarsi che il paziente abbia ben compreso ciò che gli viene detto. L’attenzione e l’ascolto sono di grande importanza nel lavoro con persone malate di demenza. Quando la persona parla e si racconta è importante che non venga interrotta e che le venga lasciato il tempo necessario per dire le cose a modo suo; frequentemente vengono a crearsi grandi silenzi ed è importante rispettarli per ciò che sono, senza sentire il bisogno di riempirli. Diventa utile e importante, invece, fornire aiuto quando il paziente si trova in difficoltà nell’esprimersi.
Bibliografia
- A. Virzì, S. Dipasquale, T.S. Lo Monaco, G. Previti, La narrazione anima della medicina, in La medicina narrativa strumento trasversale di azione, compliance e empowerment, a cura di M. Bongiovanni, P. Travagliante, Franco Angeli, Milano 2017
- D. Fels, A.J. Astell, Let me tell you a story: A model of conversation for people with dementia, in «American Journal of Alzheimer’s Disease and Other Dementias», XXVI (2011), n.7, pp. 535-41 .
- B. Errollyn, S. Hodgson, P. Schweitzer, I ricordi che curano. Pratiche di reminiscenza nella malattia di Alzheimer, Cortina, Milano 2003.
- R.N. Butler, The life review: an interpretation of reminiscence in the aged, in «Psychiatry », (1963), n. 26, pp. 65-76.
- D. Demetrio, Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, Cortina, Milano 1996.
- S.E. Moss, E. Polignano, et. al., Reminiscence group activities and discourse interaction in Alzheimer’s disease, in «Journal of Gerontological Nursing», XXVIII (2002), n. 28, pp. 36-44.
- J.F. Gubrium, J.A. Holstein, Narrative Practice and the Coherence of Personal Stories, in «The Sociological Quarterly», XXXIX (1998), n. 1, 163-87.